Dato che scrivere di mio pugno le caratteristiche di un bravo psicologo sarebbe stato decisamente di parte, ho chiesto a Jonathan Shedler, professore di psichiatria alla Colorado School of Medicine, il permesso di tradurre i suoi interessanti articoli sul tema. Di seguito si può trovare il primo della serie.
Come scegliere uno psicoterapeuta
di Jonathan Shedler
Avendo insegnato psicoterapia a molti psicologi e psichiatri, sono istruito su un’ampia gamma di modelli di terapia e per questo non li impongo ai miei pazienti.
Attenzione ai terapeuti troppo identificati con un particolare “brand” di terapia. Hanno già deciso come trattarti prima di averti incontrato, figuriamoci se possono capirti. Sta’ anche attento ai terapeuti che dichiarano di essere esperti in molte tecniche terapeutiche. Nessuno è esperto in tutto. Puoi finire con un dilettante, o con qualcuno più impegnato a riempire l’agenda che interessato alla propria integrità professionale.
Attenzione ai terapeuti che enfatizzano la loro specializzazione in diagnosi o disturbi. Una diagnosi psichiatrica ci dice poco su come aiutare. Le cause della sofferenza emotiva sono intrecciate nel tessuto delle nostre vite – come viviamo, come vediamo noi stessi e gli altri, come ci leghiamo alle persone (o falliamo nel farlo), ciò che desideriamo e temiamo, ciò che sappiamo su noi stessi e ciò che speriamo di non sapere. L’expertise del terapeuta non sta nella diagnosi, ma consiste nel comprendere come è stato intelaiato quel tessuto e come può essere ritessuto.
Le sedute iniziali
Le prime sedute dovrebbero focalizzarsi su una comprensione condivisa di quale sia realmente il problema. Una comprensione che ha senso per entrambi. “Ciò che è davvero il problema” non è la tua depressione, la tua ansia o un disturbo alimentare; si tratta, invece, della causa psicologica di queste difficoltà. Una comprensione condivisa del problema fornisce un focus alla terapia- e una terapia efficace ha un focus.
Questa comprensione condivisa può svilupparsi nella prima seduta o richiedere un certo numero di sedute. Evolverà mentre la terapia progredisce. E’ dinamica, non statica. Ma ci dovrebbe essere un focus all’inizio, delle fondamenta su cui costruire. Non c’è motivo di iniziare una terapia a meno che entrambi i partecipanti sappiano cosa stanno facendo.
L’alleanza terapeutica
Molti terapeuti parlano di “alleanza terapeutica” ma pochi sembrano comprendere cosa comporti l’alleanza terapeutica. Non significa semplicemente il “sentire” una connessione positiva. Non è un’alleanza che si basa su tutto. Un’alleanza terapeutica si basa su un proposito condiviso- sul lavoro che si sta facendo. L’alleanza terapeutica ha tre elementi:
- E’ presente una connessione.
- E’ presente un accordo condiviso sull’obiettivo della terapia.
- E’ presente un accordo condiviso sui metodi che userete per perseguire questo obiettivo.
Tutti e tre gli elementi sono necessari. Spesso vedo il primo senza gli altri due. Questo aiuta a creare una relazione accogliente e supportiva ma non a dar luogo a un cambiamento psicologico significativo. La comprensione condivisa di ciò che costituisce il cambiamento deve essere realmente condivisa. Non può essere soltanto una comprensione del terapeuta o del paziente. Si tratta di qualcosa che il terapeuta e il paziente sviluppano insieme, che trascende ciò che ognuno può conoscere da solo. Se puoi raggiungere questa comprensione da solo – se puoi spiegare il problema e come risolverlo – probabilmente non hai bisogno della terapia. Il lavoro del terapeuta è quello di affrontare il problema in un modo in cui non è possibile fare da soli. Quando si raggiunge una comprensione condivisa, si comprende di aver identificato qualcosa di vitale.
Cosa fa un terapeuta quando i pazienti non sanno quale sia il problema?
I miei studenti mi chiedono sempre cosa fare quando i pazienti non hanno idea di quale sia il problema. I pazienti sanno che qualcosa va storto ma non riescono a dire cosa. Si possono sentire vuoti, persi ma non sanno perché. E’ proprio qui che il terapeuta interviene, perché il terapeuta porta una prospettiva che il paziente non può avere. Un possibile problema è che il paziente sia relativamente estraneo rispetto a sé stesso. A quel punto posso commentare “qualcosa sembra non andare per il verso giusto, ma non hai le parole per descrivere cosa”. Se il paziente sente che ciò è accurato, posso suggerire “può aiutare trovare parole per ciò che sta andando storto. Se riusciamo a trovare le parole, vedremo le cose più chiaramente. Quando vedremo le cose più chiaramente, potremmo essere capaci di trovare una via d’uscita”.
Poi chiedo – e questo è cruciale, perché la comprensione deve essere davvero condivisa – “Lei pensa che possa essere d’aiuto trovare parole per ciò che sta andando storto?” Se il paziente sente che trovare queste parole possa aiutare, allora abbiamo un focus iniziale per il nostro lavoro. Il nostro compito condiviso è trovare parole. Il paziente non può trovare le parole giuste senza il mio aiuto e io non posso trovarle senza il suo, ma probabilmente, insieme, le possiamo trovare. Il focus per il trattamento si evolverà nel tempo, ma abbiamo un punto di partenza. La prossima volta che ci incontreremo, entrambi sapremo cosa stiamo facendo.
Se il paziente non sente che trovare le parole aiuterà, continueremo ad esplorare finché non troveremo un focus su cui concordiamo entrambi e che sarà d’aiuto. Non raccomanderò di procedere con la terapia finché non concordiamo sull’obiettivo. Non “faccio terapia” per fare terapia. Faccio terapia quando sia il paziente che io sappiamo cosa stiamo facendo e perché.
Trovare un focus condiviso
Non sempre prendo un “sì” come risposta. Se un paziente acconsente con il focus di un trattamento ma lo fa in un modo che mi suggerisce che sta semplicemente obbedendo, non abbiamo una comprensione condivisa. E’ solo una mia comprensione, non è nostra. Se acconsente perché pensa che io sappia tutto, perché sono un esperto, non abbiamo una comprensione condivisa (Ma io avrò un’ipotesi su quale possa essere il problema. Se è abituato ad affidare le proprie scelte agli altri, ciò può spiegare perché qualcosa sembra sbagliato e il motivo per cui non ha parole per esprimerlo, e io cercherò di far notare il problema).
Quindi, come puoi scegliere un terapeuta? Sta’ lontano da ideologi e tuttologi. Non cercare terapeuti specializzati per il tuo specifico problema perché non esistono altre persone con il tuo esatto problema. Quando vi incontrate, nota se il terapeuta sembra più interessato a te o alla tua diagnosi. Nota se il terapeuta ti invita a pensare insieme a quale possa essere realmente il problema. Nota se entrambi potete sviluppare una comprensione condivisa di ciò che è problematico per te e se questa comprensione risuona con ciò che pensi in un modo che non era evidente prima di iniziare la terapia. L’ultima parte può necessitare di qualche incontro ma la traiettoria dovrebbe muoversi in quella direzione dall’inizio.
Se tutti questi ingredienti sono lì, probabilmente ne hai trovato uno buono.
Qui il link all’articolo originale.
© 2016 by Jonathan Shedler