Lo scorso giovedì stavo camminando verso il mio studio quando, ad un certo punto, vedo i militari che pattugliano piazza Umberto che scattano frettolosamente per inseguire qualcuno che, evidentemente, avevano perso di vista. Accanto a loro c’era un bambino che aveva cominciato a guardare la scena, evidentemente esaltato dalla scena d’azione che probabilmente, cominciava a prefigurare sulla scorta di qualche film d’azione visto in tv. Con gli occhi pieni di eccitazione il bambino si era rivolto a uno dei militari dandogli degli ordini, e un po’ sul serio, un po’ per gioco aveva urlato “voi due andate di là e voi due di là!”.
La scena fino a quel punto mi aveva fatto sorridere, ma sono rimasto sbigottito dalla reazione di uno dei militari che si era voltato visibilmente infastidito verso il bambino gridando “ehi moccioso, levati dalle palle. Vedi tu se un bambino deve dirmi ciò che devo fare”. Come nella scena del “Professorone” di tre uomini e una gamba, tuttavia, i quattro militari erano poi andati proprio dove il bambino aveva consigliato loro.
Al di là dell’epilogo, non era la fine della storia che mi aveva colpito (anche se mi aveva fatto sorridere), quanto la risposta del militare, che aveva preso la cosa sul personale. Era evidente che avesse preso il bambino troppo sul serio. Sulle prime avevo reagito con un certo ribrezzo, come molti di noi farebbero con un adulto che si mette a tu per tu con un bambino. Poi però ho deciso di fare un passo verso la comprensione della reazione del militare.
Passando sopra all’antipatia che mi aveva assalito di getto dopo la sua risposta ho provato a calarmi nei suoi panni e le cose sono diventate un po’ più chiare: il militare si era sentito fragile e minacciato da ciò che il bambino aveva detto. Probabilmente, sentiva davvero di dover recuperare il suo status a seguito degli ordini del piccolo e aveva avvertito che le persone intorno a lui potessero giudicarlo realmente un gradino sotto nella catena di comando. Ho cominciato a immaginare che infanzia potesse aver vissuto il soldato. A quel punto il dispiacere ha preso il posto del ribrezzo e ho pensato che solo un bambino deprivato può diventare un adulto con un sé così fragile e può sentirsi così piccolo anche di fronte a un bambino.
Dietro alla psicopatologia quotidiana, alle risposte sgarbate, alle aggressioni e ai vuoti di empatia tra le persone c’è (spesso) tanto dolore. Il dolore non elaborato è capace di perpetuarsi nelle relazioni, disgregare i legami e confondere i bambini quando hanno a che fare con gli adulti. Questo, a volte, li renderà adulti con un sé fragile. In questo la psicoterapia ha un ruolo importante. Molto spesso un terapeuta è chiamato a stanare il dolore nascosto dietro l’aggressività, senza considerarla un semplice impulso da domare, ma contenendola e comprendendola, limitandone i danni.