Perché l’amore non è una passeggiata?
Uno dei motivi più frequenti per cui le persone si rivolgono allo psicologo ha a che fare con la fine di una storia d’amore o, sempre più di frequente, con l’inizio di una relazione sentimentale. A prima vista possono sembrare problemi estremamente comuni per cui non ci sarebbe bisogno dell’aiuto di uno specialista. In realtà il compito della psicoanalisi è proprio quello di non fermarsi ai giudizi dati di fretta e scandagliare la questione più nel profondo.
E’ scontato dire che tutti soffrono per la fine di una relazione e (quasi) tutti hanno paura quando una relazione sta per iniziare. C’è chi nasconde questo timore nel cinismo cercando di non stringere rapporti duraturi. C’è chi nega a sé stesso la possibilità di soffrire affogando il dispiacere per la rottura di una storia nell’alcol o nei divertimenti. C’è chi alla fine di una storia sembra sprofondare in un abisso senza fondo.
Gli ostacoli alla possibilità di fidarsi
L’inizio di una relazione ci pone di fronte a due sentimenti importanti: la speranza che di non essere feriti e il timore che ciò possa succedere. Le cose sono ben più complicate se nella propria storia e nel proprio ambiente famigliare di speranza ce n’è stata poca. Il timore funziona all’incirca così: perché si dovrebbe credere alla possibilità di essere amati se l’amore non lo si è mai conosciuto?
Perché dovrei sperare che le cose possano cambiare se sono abituato a un certo tipo di sofferenza o a un certo tipo di ferite inferte? Questi sentimenti da un lato sono un campanello d’allarme verso la possibilità di stringere un nuovo legame, dall’altro rendono estremamente difficile fidarsi di un partner che, magari, è dotato delle migliori intenzioni.
Il ruolo dei test: quando un partner mette alla prova l’altro, o quando un paziente mette alla prova il proprio psicoterapeuta
Più è traumatica la propria storia, più cicatrici si potano con sé, che esse siano radicate nel proprio passato remoto o più recente, più è facile che la speranza di potersi fidare sia danneggiata. In genere l’alternarsi tra speranza e timore dà luogo a quelli che Joseph Weiss chiama “test“, vale a dire dei movimenti relazionali che le persone mettono in atto per mettere alla prova la possibilità di fidarsi di un’altra persona, sia questa un paziente o un possibile partner.
E’ come giocare a nascondino sperando di essere trovati: ci si nasconde per proteggersi dal dolore covando la speranza che qualcuno ci venga a trovare per non lasciarci soli. Ad esempio (ma questo è solo uno tra i tanti test) è molto frequente, anche in assenza di vissuti traumatici, che alcune persone lascino per non essere lasciate, ma che nel frattempo sperino ardentemente in un ritorno del partner abbandonato. In genere è tanto più alta la necessità di nascondersi quanto più alto è il timore di non potersi fidare dell’altro. Questa paura affonda le sue radici nella propria storia di relazioni.
Nascondersi e ritrovarsi
Come dice il famoso psicoanalista Donald Winnicott “è un piacere nascondersi, è un disastro non essere trovati”. Quando un paziente si rivolge a un terapeuta perché non riesce a stringere legami duraturi, è molto probabile che nel proseguire della relazione tra paziente e terapeuta il primo cerchi di stringere un legame con il secondo portando con sé la paura di fidarsi del terapeuta ma anche tanta speranza di trovare una persona cui potersi affidare. Il ruolo dell’analista è comprendere le ferite del paziente e cercare di ristabilire la sue possibilità di fidarsi: è molto probabile che il terapeuta sia chiamato a disconfermare molte delle paure che il paziente nutre anche nei suoi confronti e a superare i test del paziente.
Altre ferite si riaprono quando una relazione importante si conclude
Altre volte succede che le proprie ferite inizino a sanguinare copiosamente quando si chiude una relazione. La chiusura di una relazione d’amore può portare con s’è una sofferenza che fa eco a tutte le altre rotture sentimentali, e in genere il sangue che sgorga dalla propria ferita presente si aggiunge a quello già sgorgato (o mai sgorgato) nel passato. Quando, dopo una rottura, non ci si riesce più a rialzare (non è mai facile, ma alcune volte è meno facile di altre), può capitare che nella fine di una storia alberghino i fantasmi di un lutto infantile, di un genitore che è andato via e non è più tornato.
Se veniamo lasciati da un partner, sarà facile che spuntino fuori anche altri vissuti abbandonici. Questi non hanno per forza a che fare con l’essere stati abbandonati, ma anche con moltissime altre forme di trascuratezza. In genere questo, per quanto doloroso, è un segnale che ci invita a comprendere da quali fantasmi siamo abitati. Trasformare i propri fantasmi in una storia che si può raccontare non annulla la sofferenza, ma permette di stare meglio e di non esserne più spaventati.