This is america è il titolo del video musicale virale che sta spopolando su internet in queste ore. L’autore è Donald Glover, in arte Childish Gambino, attore e artista eclettico che al momento è impegnato nelle riprese di Solo: A Star Wars Story e della serie Atlanta.
Il video inizia così: un afroamericano intona una canzone con la chitarra e viene giustiziato dallo stesso Glover che balla in una coreografia che richiama Jim Crow, la figura parodica creata dai sudisti per prendere in giro gli schiavi afroamericani. La canzone a tratti assume dei toni vivaci ma viene brutalmente smorzata da scene di violenza. Il contrasto è sullo schermo e colpisce per questo, da subito.
Glover cattura subito la nostra attenzione e ci trascina nei passi di danza accompagnati da ragazzi vestiti con gli abiti tipici degli studenti sudafricani, mentre insieme incarnano la danza sudafricana del gwara gwara, forse per richiamare il dolore dell’apartheid che riverbera in America.
Siamo attratti da personaggi che ballano con passi marcati e un’allegria quasi grottesca mentre sullo sfondo si inscena l’apocalisse, simboleggiata dall’uomo a cavallo con il cappuccio in testa e auto date alle fiamme. Mentre questo accade appare un coro gospel che riporta la melodia nel brano, per smorzarne i toni più cupi, ma la dolcezza è a sua volta smorzata da Gambino che mette in atto l’esecuzione del coro, a richiamare i fatti di Charleston.
Le contraddizioni presenti nel video sono palesi, ed è palese sia il richiamo alla sofferenza delle minoranze in America, spesso ricordata dalla simbologia nascosta qui e lì nel video, sia il costante tentativo di Glover di mostrarci quanto veniamo distratti dal consumismo attraverso un potente mezzo del consumismo, il video musicale.
Look how I’m geekin’ out (hey) I’m so fitted (I’m so fitted, woo) I’m on Gucci (I’m on Gucci) I’m so pretty (yeah, yeah) I’m gon’ get it (ayy, I’m gon’ get it) Watch me move (blaow)
Come fa “This is America” a colpirci così nel profondo?
Possiamo parlare di violenza e ingiustizia per ore. Se è troppo difficile, per non pensarci indossare le cuffie per ascoltare Rihanna (che nei suoi passi di danza riprende il gwara gwara svuotandolo involontariamente di senso). Raramente vedremo le due cose insieme. Questo è ciò che abitualmente in psicologia viene chiamato dissociazione, un termine utilizzato per descrivere la disconnessione tra alcuni processi psichici rispetto al restante sistema psicologico dell’individuo.
In genere si parla di dissociazione in presenza di stati traumatici, come meccanismo per distanziarci dai fantasmi di un dolore insopportabile. In realtà, siamo costretti a dissociare costantemente diversi aspetti della realtà. A volte ci dimentichiamo di essere alla guida mentre pensiamo ad altro, o finiamo in una stanza e dimentichiamo perché. Se fossimo pienamente coscienti di tutto sarebbe un disastro.
Separare i nessi associativi tra processi psicologici ci permette di portare avanti normalmente la vita quotidiana, come pensare ad altro mentre guidiamo o andiamo a prendere un bicchiere d’acqua: magari ci dimentichiamo l’una o l’altra cosa durante l’atto, ritrovandoci sperduti in una strada familiare o in una stanza senza sapere perché. Questo meccanismo psicologico è particolarmente d’aiuto quando dobbiamo portare avanti la nostra vita quotidiana, nonostante conflitti e vissuti non risolti. Per questo motivo è oggetto di attenzione nello studio del trauma.
Il paradosso è questo: quando le strategie che usiamo per distrarci diventano rigide ed esclusive, è perché il dolore è molto forte. Più il dolore è forte, meno siamo liberi di riappropriarci di parti di noi stessi che abbiamo sacrificato. Più questo accade, più forti saranno i nostri tentativi di curarci da un male che vogliamo ignorare. E’ così che nascono le compulsioni, il gioco d’azzardo patologico, la necessità del ricorso alla droga, i disturbi alimentari o la dipendenza dal lavoro. I meccanismi sono gli stessi usati da Donald Glover quando ci vuole distrarre dal caos in sottofondo. Poi, però, ci fa ripiombare volutamente nella violenza. Nuovamente, lo scintillio della musica, dell’apparire, del mostrare, e dell’avere cercano di tirarci via nuovamente dal caos per sottrarci al dolore che portano con sé i fantasmi delle ingiustizie, dei conflitti irrisolti e dei sentimenti che temiamo. Le contraddizioni dell’America ci colpiscono perché, in un certo modo, ci riguardano come individui e come società. Come recita una famosa poesia di Emily Dickinson:
Per sentirsi perseguitati da fantasmi –
Non c’è bisogno d’essere una stanza –
Non c’è bisogno d’essere una casa –
La mente ha corridoi – più ricchi
In confronto allo spazio materiale.Assai più sicuro, un incontro a Mezzanotte,
Con un fantasma – esterno –
Piuttosto che affrontare, dentro di sé,
Quell’ospite più freddo.Assai più sicuro, lo scontro con le pietre,
Scagliate attraverso un’abbazia –
Piuttosto che incontrare, disarmati,
in solitudine – il proprio io.L’io che si nasconde dietro l’io –
Una scossa ben più terrorizzante –
Di un assassino, nella propria casa –
In agguato.Prende a prestito una rivoltella –
Spranga la porta – il corpo –
E non s’accorge di uno spettro –
Più altero – o peggio –