Anna è allo stremo delle forze, è da anni in una relazione in cui ogni giorno si sente sempre più piccola. Il suo compagno, Giorgio, è completamente concentrato su sé stesso, sui suoi successi, sui suoi problemi, sul suo lavoro e questi sono gli unici temi che invadono le loro conversazioni.
Ogni giorno la sua sensazione di essere insignificante aumenta, e forse anche la rabbia verso il suo compagno. Ha cercato informazioni su internet, e internet ha risposto che Anna è in relazione con un narcisista, e che probabilmente lei è una persona empatica e che questo incastro è molto frequente.
Tuttavia, non ha trovato modo di cambiare le cose, spera che un giorno lui si accorgerà di lei e dei suoi bisogni all’interno della relazione ma questo non accade. Si sente risucchiata in un circolo vizioso e vittima della personalità del suo compagno.
Questo esempio rappresenta una situazione sempre più comune: nell’urgenza di soffocare la sofferenza causata dal rapporto tendiamo a cercare soluzioni semplici (ad esempio, ci convinciamo di poter cambiare un compagno narcisista con pochi accorgimenti) o a “diagnosticare” i sintomi della nostra relazione (magari cercando su google “sto con un narcisista?”). Se sei in questa situazione, avrai notato che questo approccio non ha prodotto molti risultati. Forse è più utile porti delle domande per capire come si è creato il problema e perché, al fine di trovare una via d’uscita (non necessariamente dalla relazione, ma dalla relazione per come è ora). Un piccolo disclaimer: queste domande non portano a semplici risposte o soluzioni, ma sono stimoli per riflettere sul proprio ruolo nella coppia.
1. Come mai ti concentri solo sul suo problema?
Avrai letto da qualche parte che la relazione tra una persona “empatica” e una persona “narcisista” è frequente, perché il narcisista può parlare di sé e “l’empatico” può ascoltare e comprendere.
Eppure, continui a cercare su internet come è fatto un narcisista, istruzioni su come comportarsi con lui o su come cambiarlo, nella speranza che sia lui a cambiare, distogliendo l’attenzione da te stessa\o.
Riflettiamo un attimo sulla situazione: questo è un altro modo, un po’ più articolato, attraverso cui il problema si presenta. Sei tu che pensi a lui ed è lui al centro dell’attenzione. E’ come se, per non pensare all’elefante, ci ripetessimo continuamente di non pensare all’elefante. Non c’è una soluzione semplice a questo paradosso e questa domanda ci costringe a porcene un’altra:
2. Che spazio riesci a prendere nella coppia? E in che modo?
Un errore molto comune è quello di pensare che chi sta con un narcisista sia una persona empatica.
Questo concetto semplifica molto quello che succede in una relazione di questo tipo. Se è davvero questa la situazione in cui ti trovi, ci sono delle cose da considerare: quanto ti senti in pericolo nella coppia se esprimi i tuoi bisogni? Non è sempre corretto parlare di empatia in casi del genere, la cosidetta “persona empatica” succube di un narcisista è in realtà molto focalizzata sull’altro, sui suoi comportamenti, sui suoi bisogni e sulle sue aspettative e questo può avere dei motivi.
Karlen Lyons Ruth (2003), una ricercatrice nel campo dell’attaccamento infantile, ha mostrato come molti bambini, pur di assicurarsi un legame con le proprie figure di attaccamento quando non sono disponibili dal punto di vista emotivo (ad esempio, una madre depressa, narcisista etc.), sviluppano delle strategie di accudimento cui il genitore è sensibile.
Per ottenere la disponibilità della sua figura di attaccamento, essenziale per la sopravvivenza, il bambino sviluppa una strategia “controllante-accudente”. E’ costretto a mettere da parte e dissociare tutta una serie di risposte emotive rifiutate da chi si prende cura di lui e l’unico modo attraverso cui riesce a entrarvi in relazione è, in un certo senso, prendersi cura del suo caregiver.
Se non agisce in questo modo, se esprime rabbia, disappunto, o qualche tipo di egoismo, subentra il terrore che la relazione si possa interrompere. Questa attitudine può trascinarsi nella vita adulta, come descrive splendidamente la psicoanalista Alice Miller nel suo capolavoro “Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero Sé“.
Un principio organizzatore di cui non sei cosciente pervade la tua mente: se non sono completamente focalizzato su di te, tu mi lascerai. Sono sicuro/a che se esprimo i miei bisogni, la mia rabbia, i miei desideri, mi abbandonerai, perché è sempre stato così.
3. Perché non coltivi te stesso\a?
La risposta alla domanda precedente ci porta ad un’altra riflessione che si può riassumere così: quanto spazio dai a te stesso? Se siamo immersi nell’altro possiamo arrivare a sentirci indegni di coltivare degli aspetti emotivi che sentiamo (desideri, interessi, ma anche rabbia, paura, insoddisfazione, un sano egoismo) e che permettiamo al partner di esprimere fin troppo.
Se ciò che voglio e ciò che posso essere è stato rifiutato dagli altri, siamo così sicuri che valga la pena coltivarlo?
Ti preoccupi del fatto che dall’altra parte ci sia una persona poco empatica che pensa solo a Sé, ma quanto è facile per te pensare a te stesso e a cosa vuoi?
Hai mai espresso questi sentimenti? Come ti sei sentito quando è successo? Può essere molto difficile pensare al proprio ruolo nella coppia se non ci si sente degni di riconoscerlo e darvi importanza.
4. Sei proprio sicura/o di stare con un narcisista?
Si stima che circa l’1% della popolazione soffra di disturbo narcisistico della personalità, eppure viviamo in una società dove si sente sempre più parlare di narcisismo.
Il problema è ancora più complesso di così: non solo moltissime persone hanno dei tratti narcisistici, e questo porta spesso a diagnosticare una sana autostima come un disturbo narcisistico, ma nei manuali diagnostici i disturbi di personalità sono un pantano da cui è difficile uscire.
Basti pensare che l’inter rater reliability (in breve: l’accordo tra chi fa diagnosi) per i disturbi di personalità sia 0.22. Tradotto in un linguaggio non tecnico: circa 2 clinici su 10 sono d’accordo nell’attribuire una diagnosi a uno stesso individuo, e i disturbi di personalità sono 10 (uno solo di questi è il disturbo narcisistico di personalità).
Dobbiamo fermarci a riflettere sul problema, dato che anche gli esperti hanno molte difficoltà a fare diagnosi: l’unica cosa certa che i dati ci dicono è che la diagnosi è (almeno in 8 casi su 10) negli occhi di chi guarda.
Il nostro modo di vedere e pensare alla persona che abbiamo di fronte è anche frutto della nostra storia e della nostra personalità e darà forma alla visione che abbiamo del partner. Non solo: il modo in cui vediamo gli altri (se non lo/la accontento, mi trascurerà), ha un ruolo molto importante nel determinare come si strutturerà la relazione con quel determinato individuo (e vice-versa). Questo ci porta ad un’ultima domanda, forse la più importante.
5. E’ il primo narcisista che incontri?
Se cadi molto spesso in dinamiche simili e se queste dinamiche ti causano sofferenza, forse è il caso di capire qual è il tuo ruolo, per provare a trovare un altro modo di stare in relazione. E ancora, se il tuo partner ha molti tratti narcisistici e questi ti fanno soffrire, come mai non riesci a sottrarti a queste dinamiche? Non c’è una risposta semplice.
Forse il motivo per cui ti trovi spesso nella stessa condizione è scritto nella tua storia ed è necessario darvi significato e capire cosa succede per trovare una nuova direzione.
Siamo noi che scegliamo il nostro partner e abbiamo un ruolo determinante nel dare forma alla relazione che vi instaureremo, ma non sempre siamo coscienti dei meccanismi che ci portano a trovarci in situazioni simili, soprattutto se queste ci causano simili sofferenze.
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Buonasera. Mi ritrovo in parecchi punti da lei descritti. Posso tranquillamente ammettere le mie responsabilità per aver contribuito a questo incastro ma, come potevo venire fuori dalla relazione dal momento che il mio ex marito mi ha conquistato con la “dolcezza,simpatia,l’indovinare dei miei “bisogni” etc ….e sono rimasta incinta del nostro figlio. La sua natura contraria di quello che aveva mostrato a me agli inizi,lo ha evidenziato tranquillamente mentre aspettavo il bimbo è dopo e non ha più smesso….tranne qualche volta delle finte mosse da premuroso ,perché di solito era tutto dovuto dal momento che vivevo in casa sua?Come potevo non credere che questa persona,in qualche modo cambiava atteggiamento visto che eravamo genitori e avevamo una famiglia?Come potevo non credergli visto che era reduce di un matrimonio dove la sua ex moglie non lo rispettava?Mi sembra ovvio che ci sia empatia,ci si mette nei panni dell’altro per aiutarlo.Io vivevo in casa sua ma,lui mi faceva sentire in debito ,dicendomi che se pagavo un affitto era peggio e allora si appropriava dei miei stipendi che sicuramente gli davo io ,proprio perché mi rinfacciava il fatto che la casa era la sua.Una persona cin dignità chiaramente contribuisce in un rapporto e io non penso di sbagliare nel fidarmi e pretendere che una persona cambia,perché noi cambiamo grazie a degli eventi e diventare genitori dovrebbe maturarci in senso di responsabilità. Io l’ho fatto e ho cercato di mandare avanti una famiglia e dare una mano e tempo al mio partner semmai avesse più difficoltà a camminare insieme a me ,dato che tutti abbiamo i nostri tempi.Non ho optato per la separazione subito,certo che no.Non perché mi piace farmi male ma,ripeto :Volevo molto bene questa famiglia e volevo provare tutte le strade.Non per paura della solitudine ma per il senso del insieme. Appunto una famiglia. Dove ho sbagliato?
Grazie davvero per questo articolo. Mentre lo leggevo pensavo: “Finalmente delle informazioni chiare, utili e fuori dagli schemi!, una lente di ingradimento su aspetti spesso celati della relazione interpersonale in cui ognuno ha la sua parte di responsabilità.
Grazie Isabella! Sono contento ti sia piaciuto l’articolo.